Di recente è tornato al centro dell’attenzione il tema delle famiglie omogenitoriali, per una serie di eventi concomitanti.
In primo luogo, è dei primi di marzo 2023 la circolare del prefetto di Milano Renato Saccone, con cui ha invitato i sindaci dell’area metropolitana di Milano a non riconoscere come genitori entrambi i membri di una coppia omosessuale, come avveniva da alcuni anni, quanto meno nel Comune di Milano, ma – dei due genitori – solo quello che può vantare un legame biologico con il piccolo.
La motivazione, ha spiegato l’ufficio territoriale del governo, starebbe nella legge 40 del 2004, che per un verso vieta la gestazione per altri e per altro verso impone, per l’accesso alla procreazione medicalmente assistita, la diversità di sesso tra i membri dell’unione familiare, come accertato dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite nella sentenza del 30 dicembre 2022, n. 38162.
In secondo luogo, risale alla fine di marzo 2023 l’apertura della discussione sulla proposta di regolamento presentata dalla Commissione Europea in merito alla creazione di un Certificato Unico di Filiazione, regolamento volto ad armonizzare le leggi degli Stati dell’Unione in materia di filiazione. La proposta è incentrata sull’interesse superiore del minore e sui diritti del figlio ed è finalizzata a fornire un quadro giuridico certo a tutte le famiglie che si trovano in una situazione transfrontaliera all’interno dell’UE. Uno degli aspetti chiave della proposta è che la filiazione accertata in uno Stato membro dell’UE debba essere riconosciuta in tutti gli altri Stati membri, in modo pressoché automatico e senza nessuna procedura specifica.
Per essere più precisi, il diritto dell’Unione prevede già che la filiazione accertata in uno Stato membro sia riconosciuta in tutti gli altri Stati membri, e ciò ai fini di accesso al territorio, diritto di soggiorno, non discriminazione rispetto ai cittadini nazionali. Tuttavia, ciò non vale per i diritti conferiti dal diritto nazionale in materie quali la successione, i diritti alimentari o il diritto dei genitori di agire in qualità di rappresentanti legali del minore (per motivi di scolarizzazione o di salute).
Per ora la discussione si è arenata in quanto molti Stati, tra cui l’Italia, temono che questa misura si possa trasformare in un’operazione di ingerenza “dall’alto”, che potrebbe mettere in discussione l’autonomia delle singole nazioni sul fronte della genitorialità e del concetto di famiglia.
Ritornando alla prospettiva nazionale, l’iniziativa del Ministero dell’Interno, attuata tramite la circolare del Prefetto citata sopra, è stata motivata principalmente con il richiamo alla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 38162/2022.
Prima di esaminare tale sentenza, pare opportuno analizzare le principali disposizioni in materia di procreazione assistita e le importanti pronunce della Corte Costituzionale del 2021 (nn. 32 e 33).
COSA PREVEDE LA LEGGE 40/2004
Le legge n. 40/2004, che disciplina l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in primo luogo prevede che possano avere accesso a tali procedure solo “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi” (art. 5). Le coppie omogenitoriali sono quindi escluse dall’accesso a tecniche di P.M.A.
L’art. 12 pone una serie di divieti. In primo luogo, il comma 1 vietava la fecondazione eterologa, cioè quella attuata tramite ricorso a gameti di soggetto estraneo alla coppia. Tale disposizione è stata però dichiarata contraria alla Costituzione (ed in particolare agli artt. 2, 3 e 31), con la storica sentenza della Corte Costituzionale in data 9 aprile – 10 giugno 2014, n. 162.
Altro divieto, assai rilevanti ai fini di questa indagine, è quello delle procedure di “surrogazione di maternità”, di cui all’art. 12, comma 6. Questa norma è assai rilevante perché costituisce uno dei fondamenti della sentenza della Suprema Corte che andremo ad analizzare.
LE DUE PRONUNCE DELLA CORTE COSTITUZIONALE DEL 2021
Le due recenti sentenze della Corte Costituzionale in materia di famiglie omogenitoriali sono rese in relazione a due fattispecie differenti: la prima (la numero 32) riguarda un caso di una madre intenzionale di due gemelle, nate a seguito di procedure procreative medicalmente assistite che hanno coinvolto direttamente l’altra partner, che lamenta il mancato riconoscimento quale genitrice e altresì la mancata possibilità di procedere con l’adozione particolare, stante il dissenso dell’altra genitrice, con la quale nel frattempo era sopravvenuta la cessazione della relazione di coppia.
La seconda sentenza (la numero 33) riguarda l’accertamento dello status di figlio di un coppia omogenitoriale di cittadini italiani che, dopo aver contratto matrimonio in Canada e aver fatto ricorso alla gestazione per altri sempre in Canada, aveva chiesto in Italia la rettifica dell’atto di nascita in cui risultava indicato come genitore unicamente il genitore biologico, e ciò sulla base del provvedimento della Suprema Corte del British Columbia che aveva accolto la richiesta del genitore “intenzionale”, disponendo la rettifica dell’atto di nascita in Canada.
Pur riguardando due fattispecie differenti, delle quali solo quella di cui alla seconda sentenza trova insuperabile impedimento nella legislazione italiana, che vieta il ricorso alla gestazione per altri, in entrambe le sentenze la Consulta riscontra una situazione di vuoto normativo, denunciando una grave lacuna dell’ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro interessi, e tuttavia affermando di non poter porre rimedio a tale situazione, per cui resta competente unicamente il legislatore, e concludendo quindi con una pronuncia di inammissibilità della questione sottopostale.
È doveroso sottolineare alcuni passaggi delle sentenze, che rendono manifesta una diversa sensibilità sociale rispetto al tema delle famiglie omogenitoriali. Nella sentenza n. 32 la Corte ricorda che “non è configurabile un divieto costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli, pur spettando alla discrezionalità del legislatore la relativa disciplina” e sottolinea “l’ insufficienza del ricorso all’adozione in casi particolari, per come attualmente regolato, tant’è che nello specifico caso è resa impraticabile proprio nelle situazioni più delicate per il benessere del minore, quali sono, indubitabilmente, la crisi della coppia e la negazione dell’assenso da parte del genitore biologico/legale”.
Nella sentenza n. 33 si rileva che è “irragionevole precludere al giudice la possibilità di valutare caso per caso l’interesse del minore al riconoscimento del legame con il genitore “d’ intenzione”, con ciò sacrificandosi automaticamente la tutela dei diritti del bambino per condannare il comportamento dei genitori” e che “l’interesse di un bambino accudito sin dalla nascita (…) da una coppia che ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo è quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia”.
Tuttavia, gli approdi delle due sentenze della Consulta non soddisfano pienamente, in particolare la pronuncia n. 32, perché si è persa l’occasione di una declaratoria di incostituzionalità dell’art. 5 della l. 40 del 2004 – che però in effetti non era stata propriamente prospettata dalla corte rimettente – laddove prevede che l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita sia consentito solamente alle coppie di sesso diverso, essendo per il resto la procedura di fecondazione eterologa ormai legittima nel nostro ordinamento, dopo la pronuncia della sentenza n. 162/2014 sopra citata.
LA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE DEL 2022
Le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi a seguito di ordinanza di rimessione da parte della Prima Sezione Civile della Cassazione, chiamata a decidere in merito alla controversia – riguardante l’accertamento dello status di figlio di una coppia omogenitoriale di cittadini italiani che avevano fatto ricorso alla gestazione per altri in Canada – nell’ambito della quale era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale che aveva dato luogo alla sentenza della Consulta (n. 33/2021).
Nell’ordinanza di rimessione la prima Sezione formula alcuni quesiti, così riassumibili:
– se la sentenza della Corte costituzionale n. 33 del 2021, accertando l’inidoneità del ricorso in questa materia all’adozione in casi particolari, abbia determinato il superamento del diritto vivente rappresentato dalla sentenza n. 12193 del 2019 delle Sezioni Unite, che aveva escluso la trascrivibilità di una sentenza straniera che riconosceva lo status di padre anche al genitore non biologico;
– se la non attuazione del monito rivolto al legislatore dalla stessa sentenza n. 33 del 2021 abbia determinato di conseguenza un vuoto normativo e se tale situazione sia superabile in via interpretativa;
– se sia consentita alle Corti una interpretazione adeguatrice, effettuata caso per caso e fondata sul confronto tra l’interesse del minore e la tutela della donna coinvolta nel processo procreativo, anche tenendo in considerazione l’adesione libera consapevole e non determinata da necessità economiche da parte della donna alla gestazione.
A tali quesiti la Suprema Corte ha dato sostanzialmente risposta negativa, effettuando i seguenti rilievi.
In primo luogo, gli ermellini hanno sottolineato che “l’ordinamento italiano non consente il ricorso ad operazioni di maternità surrogata”, essendo tale pratica “vietata in assoluto, sotto minaccia di sanzione penale, dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6”. Ogni qualvolta la surrogazione di maternità è praticata all’estero, la questione dello status del nato da maternità surrogata pone una questione compatibilità di tale riconoscimento con l’ordine pubblico internazionale. Ad avviso del Supremo Collegio, la l. n. 40 del 2004 è norma di ordine pubblico internazionale, che quindi osta al riconoscimento di cui si discute.
La Corte si domanda quindi se lo strumento dell’adozione particolare, disciplinato dall’art. 44, c. 1, lettera d), l. 4 maggio 1983, n. 184, si possa considerare adeguato ai fini della tutela dell’interesse del minore, in particolare valutando gli aspetti critici sollevati dalle sentenze della Corte Costituzionale (n. 32-33/2021).
Rispetto all’impedimento alla costituzione di rapporti civili con l’adottante, la Suprema Corte rileva che esso è stato rimosso con la pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale n. 79 del 28.3.2022, considerato che a seguito di tale pronuncia, anche l’adozione del minore in casi particolari produce effetti pieni e fa nascere relazioni di parentela con i familiari dell’adottante.
Quanto alla necessità del consenso dell’altro genitore, la Corte tenta di superare questa criticità rilevando, attraverso motivazioni che non convincono, per un verso, che è richiesto solo l’assenso del genitore che eserciti effettivamente la potestà genitoriale e, per altro verso, che l’eventuale dissenso deve essere inquadrato in una dimensione funzionale e deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all’interesse del minore.
La Corte conclude quindi affermando che “l’adozione in casi particolari, per come attualmente disciplinata, si profila come uno strumento potenzialmente adeguato al fine di assicurare al minore nato da maternità surrogata la tutela giuridica richiesta dai principi convenzionali e costituzionali, restando la valutazione in ogni caso sottoposta al vaglio del giudice nella concretezza della singola vicenda e ferma la possibilità per il legislatore di intervenire in ogni momento per dettare una disciplina ancora più aderente alle peculiarità della situazione”.
In definitiva il Supremo Collegio, escludendo apoditticamente che l’automatico riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore di intenzione “sulla base del contratto di maternità surrogata” risponda effettivamente all’interesse del minore, ed escludendo che “il desiderio di genitorialità (…) possa legittimare un presunto diritto alla genitorialità comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo”, conclude nel senso della non trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero che indichi quale genitore del bambino nato tramite surrogazione il genitore di intenzione.
Anche la sentenza della Suprema Corte lascia dunque insoddisfatti, soprattutto per come liquida le criticità dello strumento dell’adozione particolare, che si rivela per molti aspetti inadeguato, considerato, tra le altre cose, che non è esperibile su richiesta dell’adottando, che è impraticabile in mancanza di assenso dell’altro genitore, e che lascia comunque un vuoto di tutela dalla nascita del minore fino alla conclusione dell’iter procedimentale.
Rimangono quindi senza risposta le legittime istanze di cui si è fatta portavoce la Prima Sezione Civile nell’ordinanza di rimessione, che ha correttamente rilevato che “una discriminazione del bambino, fatta derivare dallo stigma verso la decisione dell’adulto di aver fatto ricorso a una tecnica procreativa vietata nel nostro ordinamento, si risolverebbe in una violazione del principio di eguaglianza e di pari dignità sociale, ponendo a carico del nato conseguenze riconducibili unicamente alle scelte di chi ha concepito la sua nascita”.
In sostanza, sinché il quadro normativo resterà immutato – e il timore è che lo resti ancora a lungo, soprattutto in questo momento storico – sembra improbabile che la giurisprudenza possa giungere ad approdi interpretativi più soddisfacenti di quelli sinora ottenuti, con esiti intollerabilmente discriminatori per le famiglie omogenitoriali.
Fa tuttavia ben sperare l’iniziativa del Parlamento Europeo che, nella giornata del 30 marzo 2023, ha approvato un emendamento alla relazione del 2022 sullo Stato di diritto nell’Unione Europea, in cui censura il governo italiano per la richiesta fatta a tutti i sindaci di smettere di trascrivere i certificati di nascita dei figli nati all’estero con la gestazione per altri (la GPA, la gravidanza portata avanti da una persona per conto di altri, usata da persone singole, coppie eterosessuali e omosessuali).
(Photo credit: Steve Johnson – Unsplash)