Accade sempre più di frequente che gli istituti bancari, a fronte di richieste da parte di consumatori di erogare mutui o finanziamenti, propongano ai clienti la sottoscrizione contestuale di polizze a copertura del credito (Payment Protection Insurance: “PPI”).
1. La vendita di prodotti assicurativi abbinata alla stipulazione di contratti di mutuo o finanziamento.
Talvolta ciò avviene perché così vuole la legge: è ad esempio il caso del (tipo di) finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione), rispetto al quale l’art. 54 d.P.R. n. 180/1950 richiede, quale requisito per il perfezionamento del relativo contratto, anche l’attivazione da parte del soggetto finanziato di una copertura assicurativa contro il rischio di morte e (eventualmente) di perdita del posto di lavoro.
In altre situazioni, è lo stesso cliente a trarre dalla concessione del prestito l’occasione per richiedere una polizza, approfittando del fatto che la banca erogante sia autorizzata a distribuire anche prodotti assicurativi.
Nella maggior parte dei casi, però, la proposta di contestuale stipulazione di un contratto assicurativo promana proprio dal soggetto finanziatore, rendendola in alcuni casi una condizione necessaria per poter erogare il finanziamento. Nel credito al consumo, la presenza di una polizza di questo tipo è considerata propedeutica all’erogazione del prestito soprattutto nel caso in cui il privato richieda una somma consistente, oppure laddove la condizione economica del richiedente sia considerata ad elevato rischio di insolvenza.
La distribuzione incrociata e, in molti casi, abbinata, di prodotti bancari e assicurativi ha suscitato nel recente passato non poche perplessità, in ragione della attitudine della stessa a dare origine a condotte opportunistiche, in grado di integrare pratiche commerciali scorrette, specie allorché una cospicua parte del costo della polizza sia retrocessa all’intermediario che, giovandosi del duplice ruolo di mutuante ed intermediario, carica i mutuatari-consumatori di costi che non riflettono quelli altrimenti determinati da una corretta dinamica concorrenziale.
2. I provvedimenti dell’Antitrust volti a sanzionare le pratiche commerciali scorrette.
Nel marzo del 2020, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha emesso provvedimenti con cui sono state irrogate sanzioni per svariati milioni di Euro ad alcuni istituti di credito all’esito di una lunga indagine che ha condotto all’accertamento di pratiche commerciali ritenute scorrette.
Tali pratiche sarebbero consistite nell’aver indotto i consumatori a sottoscrivere polizze assicurative di vario genere tra cui, polizze a garanzia del credito (PPI) e polizze sulla vita, come condizione per la concessione di un mutuo o di un finanziamento.
In particolare, nella valutazione delle pratiche commerciali scorrette, l’Autorità ha verificato che:
- Le percentuali di abbinamento tra le polizze in esame ed i contratti di mutuo e finanziamento sono risultate troppo elevate, con una media nel periodo di riferimento superiore al 75-85%:
- il consumatore, nelle trattative relative alla conclusione di un contratto di mutuo, è parte di un rapporto contrattuale sbilanciato in cui non ha né la certezza della concessione del mutuo né la sicurezza della tempestività;
- in tale situazione il consumatore è propenso ad accettare le proposte formulate dall’intermediario del credito, anche se le proposte contrattuali non sono qualificate come obbligatorie;
- ai fini della configurabilità di una pratica aggressiva, non rileva il rispetto formale delle informative documentali e della modulistica contrattuale alle previsioni normative;
- l’effetto lesivo provocato delle pratiche commerciali scorrette può essere anche meramente potenziale.
Per limitare i rischi sopra esposti, sono state emanate negli ultimi anni nuove disposizioni legislative e regolamentari, nonché numerose raccomandazioni di IVASS e Banca d’Italia, volte a disciplinare il mercato delle polizze PPI e ad effettuare verifiche periodiche direttamente presso le reti distributive, ma i risultati, in termini di tutela dei consumatori, sono ancora ben lungi dall’essere soddisfacenti.
3. L’ulteriore rilevanza ai fini del calcolo del TAEG.
La pratica commerciale oggetto di commento si presta ad assumere rilievo anche sotto il profilo della corretta determinazione del c.d. TAEG: ovvero di quell’indicatore sintetico del costo totale del credito da inserire nel corpo del contratto allorché si tratti di credito al consumo (art. 125-bis t.u.b.) ovvero nel Prospetto informativo europeo standardizzato (art. 120-novies t.u.b.) nel caso di credito immobiliare ai consumatori.
Nel prevedere che nel costo totale del credito siano inclusi “anche i costi relativi a servizi accessori connessi al contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni offerte”, gli artt. 120-quinquies, comma 2 e 121, comma 2 t.u.b. impongono di verificare se il prezzo della copertura attivata dal consumatore al momento della sottoscrizione del finanziamento sia o meno da comprendere nella base di calcolo del TAEG.
L’inclusione o meno dei costi relativi alla polizza dipende quindi dalla natura facoltativa od obbligatoria della sottoscrizione della polizza medesima.
È di norma la stessa modulistica (pre)contrattuale e contrattuale a presentare nei termini di «obbligatoria» o «facoltativa» la polizza attivata in uno con la sottoscrizione del finanziamento.
Ora, nell’ambito di una contrattazione che si avvale di moduli e formulari predisposti unilateralmente dalla banca (artt. 1341-1342 c.c.), se l’indicazione negoziale del carattere obbligatorio della copertura non può che segnalare in via univoca l’intento del soggetto finanziatore di subordinare la concessione del prestito alla stipulazione del contratto assicurativo contestualmente proposto, per contro, non sembra possibile attribuire all’opposta qualificazione un valore altrettanto dirimente.
Infatti, la formulazione degli artt. 120-quinquies, comma 2 e 121, comma 2 t.u.b. rimanda all’accertamento di un elemento – l’eventuale nesso di condizionamento tra la polizza e l’erogazione del finanziamento – che non può essere verificato sul piano delle qualificazioni formali, bensì della concreta realtà di fatto.
D’altro canto, affermare che la qualificazione negoziale della polizza in termini di facoltatività sarebbe comunque destinata a prevalere non appare in linea con la natura imperativa della disciplina del TAEG.
Non deve quindi sorprendere che l’ormai consolidata interpretazione dell’Arbitro Bancario Finanziario in materia sia nel senso che l’espressa qualificazione come facoltativa della polizza sottoscritta dal consumatore non costituisce di per sé elemento da solo sufficiente per considerare quest’ultima tale anche ai sensi e agli effetti dell’art. 121 t.u.b. (Cfr. ABF Coll. Coord., 12 settembre 2017, dec. nn. 10617, 10620, 10621; Coll. Coord. 9 gennaio 2018, dec. n. 250; Coll. Coord., 26 luglio 2018, dec. n. 16291; Coll. Coord. 21 marzo 2022, dec. n. 4655).
Le decisioni sopra richiamate hanno elaborato una serie di indici che conducono ad una presunzione di obbligatorietà (stipula contestuale al finanziamento; durata ancorata a quella del finanziamento; indennizzo parametrato al debito residuo; intermediario beneficiario della polizza), presunzione che tuttavia può essere vinta dalla prova, fornita dalla banca, di elementi contrari, che ne proverebbero la natura facoltativa (prova di avere proposto al cliente una comparazione dei costi (e del TAEG), con o senza polizza, di avere offerto ad altri clienti con il medesimo merito creditizio le stesse condizioni di finanziamento, anche in assenza del contratto di assicurazione; prova che la polizza attivata attribuisce al debitore-assicurato un diritto di recesso dal contratto di assicurazione per tutto il corso del finanziamento).
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