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Di recente ho riflettuto sulla rilevanza e sulla centralità della CTU nel determinare gli esiti di un procedimento giudiziario.

Leggendo una recente ordinanza della Suprema Corte, datata 2 marzo 2023, n. 6229, resa in un caso di testamento olografo sottoposto a CTU per verificarne l’autenticità, ho avuto conferma di un orientamento giurisprudenziale già ampiamente condiviso, secondo cui non è censurabile in Cassazione sotto il profilo della violazione di legge (artt. 112, 132 e 196 c.p.c.) una sentenza “che recepisca per relationem le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio, riconoscendo le conclusioni come giustificate dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relazione”.

La Cassazione rileva, nel solco tracciato da numerosi precedenti (Cass. 18.8.2020, n. 19632, Cass. 14.2.2019, n. 4352 e Cass. 11.5.2012, n. 7364), che non è ammissibile un ricorso volto ad ottenere la ripetizione di un giudizio sul merito, e che pertanto la decisione impugnata, laddove abbia fatto propria la condivisione, già proposta dal primo giudice, delle conclusioni del consulente tecnico, e considerate le critiche mosse dal consulente di parte, ritenendo che il consulente d’ufficio le avesse adeguatamente confutate, non è censurabile.

I sopra citati arresti attestano a chiare lettere la rilevanza e la centralità della CTU nel determinare gli esiti di un procedimento giudiziario, considerato che sono davvero rari i casi in cui il Giudice, ottenute le risposte ai quesiti da egli stesso formulati, assuma una posizione che si discosti dalle conclusioni proposte dal CTU nel proprio elaborato peritale.

Un altro tema rilevante, sempre in tema di CTU, è quello cui fa riferimento un’altra recente pronuncia della Suprema Corte, Prima sezione Civile, che ha disposto la discussione in pubblica udienza del ricorso avente ad oggetto i limiti dell’indagine demandata al CTU con particolare riguardo all’acquisizione di nuovi documenti non prodotti in giudizio nei termini istruttori. In questa ordinanza interlocutoria, la Corte richiama un precedente delle Sezioni Unite in cui si è chiarito che, in materia di esame contabile, “il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni” (Cass., S.U., sent. 3085 del 1° febbraio 2022).

Nell’ambito delle consulenze tecniche è infatti un profilo di notevole rilievo quello della possibilità per il CTU di acquisire e valutare documenti diversi e ulteriori rispetto a quelli prodotti dalle parti.

La giurisprudenza più recente di legittimità si è prevalentemente espressa abbracciando un orientamento secondo il quale il CTU, sulla base delle facoltà conferitegli dall’art. 194 cod. proc. civ., può acquisire ed esaminare atti non prodotti in causa, purché questi attengano all’ambito tecnico della consulenza e risultino necessari a provare quei fatti accessori, di valenza tecnica, che permettano al CTU di rispondere al quesito postogli (Cass. 5 febbraio 2020, n. 2671, Cass. 14 novembre 2017, n. 26893, Cass. 28 gennaio 2010, n. 1901).

In materia di esame contabile, l’art. 198 c.p.c. stabilisce che nuovi documenti possono essere acquisiti ed esaminati solo con il consenso di tutte le parti. Purtuttavia, la giurisprudenza ha proposto diverse soluzioni interpretative, alcune anche parzialmente derogatrici al disposto normativo.

Accanto ad un orientamento più rigoroso, che esclude la facoltà del CTU di esaminare e considerare documenti tardivamente prodotti qualora manchi il consenso di tutte le parti, convive un secondo orientamento, secondo cui le limitazioni relative all’assenza di consenso di tutte le parti non opererebbero quando l’esistenza dei documenti che una o più parti producano tardivamente, necessari per la risoluzione del quesito posto al CTU, risulti logicamente plausibile sulla base degli elementi forniti dalle parti o desumibili dalla stessa indagine tecnica (Trib. Bar 1.1.2007; Trib. Bari 28.9.05; Cass 12.2.1982 n. 877 in Mass. Giur. It. 1982).

Alcune isolate pronunce sono poi espressione di un terzo orientamento, secondo cui al giudice spetterebbe il potere di affidare al CTU la facoltà di validamente esaminare ogni documento che sia necessario per la soluzione della controversia. (Trib. Milano 12.3.02 in Giur.it. 2003, 265 con nota di Fabiani). Questo orientamento trova origine dall’interpretazione estensiva della portata dei poteri del CTU in base all’ art. 194 c.p.c. ed è però reso in casi particolari di esami contabili, come quelli disposti nelle revocatorie fallimentari di rimesse in conto corrente, in cui al CTU è affidato l’incarico di individuare ogni elemento utile al fine di verificare l’eventuale sussistenza della scientia decoctionis.

Dalla sintetica (e seppur limitata) rassegna operata sopra, si evince come l’iniziativa del CTU, pur essendo quest’ultimo un mero ausiliario del Giudice cui viene affidato l’incarico non già di formare una prova, bensì di fornire appunto ausilio al Giudice nella valutazione della prova medesima, è in realtà centrale nel determinare l’ampiezza dell’indagine da espletare, giungendo a sopperire ad eventuali carenze documentali della parte onerata della prova. E questo può accadere sia nella CTU c.d. deducente (nella quale il CTU è chiamato ad accertare fatti ignoti a partire da fatti noti già provati), sia nella CTU percipiente (nella quale il CTU è chiamato a ricostruire fatti rilevanti in causa a mezzo dell’utilizzo di particolari cognizioni tecniche).

Non si può peraltro dimenticare che al CTU è attribuito anche il ruolo di conciliatore della lite, e ciò sia normativamente nel caso di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite (696-bis c.p.c.) e nel caso di consulenza tecnica contabile (art. 198 c.p.c.), sia funzionalmente nel caso in cui i giudici ritengano opportuno demandargli questo ulteriore compito (caso che si verifica sempre più di frequente nella pratica).

Se consideriamo, sempre traendo elementi utili dall’analisi giurisprudenziale sopra effettuata, che di norma il Giudice, a meno che non riscontri gravi anomalie nell’elaborato peritale, si affiderà pressoché in toto alle conclusioni del CTU per la decisione della causa, dobbiamo concludere che nel processo civile al CTU è conferita una grande responsabilità. Ed infatti, pur essendo il CTU un mero ausiliario del Giudice, di fatto, con il suo intervento, il CTU fornisce gli elementi fondanti la decisione del Giudice, o addirittura, nel caso di esito positivo della conciliazione, è in grado di far cessare il contenzioso.

Alla luce di queste considerazioni sul ruolo sempre più rilevante del CTU nel processo civile, mi domando se i professionisti che vengono incaricati dai Tribunali abbiano sempre sufficienti competenze e siano sempre adeguatamente supportati per svolgere convenientemente le funzioni che il processo civile attualmente conferisce loro. Siccome, purtroppo, la prassi ci dice che non sempre la risposta a tale quesito è positiva, mi parrebbe utile ed opportuno pensare alla creazione di percorsi di formazione ad hoc per i consulenti tecnici, al fine di assicurare loro una preparazione all’altezza dell’importante ruolo che sono chiamati a svolgere. Sono consapevole che richieste più esigenti da parte del Tribunale ai professionisti potrebbero scoraggiare questi ultimi dal rendersi disponibili a questi fini, soprattutto considerando che le attività dei CTU non sempre sono adeguatamente remunerate e scontano il rischio del mancato pagamento spontaneo delle parti; ritengo tuttavia che i CTU non possano essere lasciati “soli” nello svolgimento delle importanti funzioni ad essi demandate.